Cinema

IRISH FILM FESTA 2022 – La quarta giornata tra i Troubles e “Redemption of a Rogue”

Nella quarta giornata dell’edizione estiva dell’IRISH FILM FESTA, penultimo atto della rassegna cominciata Mercoledì scorso, si chiude la due-giorni dedicata al cinema nordirlandese e al tema dei Troubles, con la proiezione di un documentario dal profondo taglio personale che legge e ripercorre gli anni guerra civile nordirlandese attraverso il legame nato con il cinema e dal cinema, un legame raccontato da chi – quella guerra – l’ha sperimentata e vissuta sulla propria pelle.

Un programma che dall’Irlanda del Nord si sposta poi nell’Éire, con le produzioni cinematografiche “made in Ireland”: dalla premiazione del terzo cortometraggio vincitore del concorso indetto lo scorso Maggio alla proiezione, in conclusione della serata, di un’opera prima semplicemente esilarante e per la quale il pubblico presente all’Arena Ettore Scola che non ha mai smesso di ridere per la durata della pellicola.


“50 Years of the Troubles” – La testimonianza personale di Mark Cousins sui Troubles e il mondo del cinema

(a cura di Guglielmo Vinci)

Il documentario conclusivo della due giorni dedicata ai Troubles nordirlandesi è 50 Years of the Troubles (2019), opera diretta da Brian Henry Martin per la BBC Northern Ireland e raccontata dalla voce del critico cinematografico e regista Mark Cousins, cresciuto a Ballymena durante l’infanzia e trasferitosi ad Edimburgo in seguito allo scoppio della guerra civile nordirlandese prima di proseguire una carriera da affermato cineasta giramondo.

La pellicola è stata presentata nella proiezione delle ore 19:00, presso la Casa del Cinema di Villa Borghese, con una breve introduzione curata da Susanna Pellis assieme al presidente dell’Associazione Culturale Red Shoes, la giornalista Anna Maria Pasetti. Doverosa una breve menzione del legame tra l’IRISH FILM FESTA e Red Shoes, due realtà italiane che sono gemellate dal 2019 – proprio in occasione dell’edizione della FESTA di quell’anno – con lo scopo di fare fronte comune nel dialogo culturale e cinematografico anglo-irlandese.

Nella presentazione introduttiva, la giornalista Anna Maria Pasetti ha avuto modo di descrivere la figura di Mark Cousins e la sua profonda passione per il cinema, nata e cresciuta proprio negli anni più traumatici del conflitto nordirlandese, le cui ripercussioni rappresentarono per lui la motivazione che l’avrebbe spinto negli anni seguenti a dedicare anima e corpo (letteralmente, in questo caso) verso la conoscenza del cinema e del mondo cinematografico attraverso le sue pubblicazioni, i suoi lavori e una serie di “storie” del cinema, dedicate a vari blocchi tematici.

La Direttrice Artistica dell’IRISH FILM FESTA Susanna Pellis presenta il documentario “50 Years of the Troubles” insieme alla presidente dell’Associazione Culturale Red Shoes Anna Maria Pesetti (fotografia di Ruggero Carlo Giannini)

Sono proprio le storie a caratterizzare il documentario di Brian Henry Martin è il racconto di Mark Cousins, storie di vita vissuta di chi, come Cousins, ha vissuto in prima persona gli effetti devastanti della guerra civile tra cattolici e protestanti nell’Irlanda del Nord. Gli effetti che indirettamente hanno colpito lui come tanti altri amanti del cinema. Dal racconto trasportato del cineasta infatti, osserviamo come il cinema sia stata una delle vittime predilette degli attacchi delle opposte fazioni: Cousins descrive come i cinema, luoghi storici di aggregazione per la popolazione nordirlandese, siano diminuiti drasticamente durante gli anni più violenti dei Troubles, devastati e distrutti degli attacchi dinamitardi.

Un’ondata di violenza che non è riuscita a “uccidere” il cinema: sebbene indebolito infatti, quella che Cousins descrive come la via di fuga verso la creatività, l’immaginazione e la fantasia degli amanti della Settima Arte, è sopravvissuta dandosi a una sorta di clandestinità.
Le persone, private della maggior parte dei cinema mai più riaperti (quando ancora erano in piedi), si rifugiarono nelle proprie abitazioni a divorare pellicole su pellicole, alimentando e interiorizzando la loro passione verso quel mondo fatto di celluloide, di immagini e di storie.

Nel mentre, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, il cinema nazionale e – soprattutto – quello internazionale cominciano a parlare dei Troubles attraverso opere che raccontano storie legate al contesto della guerra civile allora in atto, in alcuni casi con risultati mediocri figli di pellicole stereotipate e costruite da luoghi comuni, in altri con risultati brillanti grazie a registi del calibro di Neil Jordan che, secondo Cousins, riescono a tradurre il tema attraverso un linguaggio nuovo e un messaggio più diretto.
Il regista poi, menziona il cambio di passo della cinematografia ottenuto negli anni delle trattative (al tempo segrete) che avrebbero portato alla stipula degli Accordi del Venerdì Santo, fino a raggiungere i livelli delle pellicole degli ultimi dieci anni (tra le quali il durissimo Hunger di Steve McQueen).

Il cinema che diventa strumento di rilancio della vita e della socialità nella Belfast del 1998 (anno di stipula degli accordi), ma che nella contemporaneità diventa per Cousins anche uno strumento di denuncia della situazione ancora vigente tra le due comunità dell’Ulster.
Fifty Years of the Troubles risulta un’interessante documentario rivolto alla televisione che vuole approfondire il legame tra la storia della guerra civile e il cinema, o per essere più precisi con il linguaggio che il cinema ha adottato per descrivere e raccontare questi fatti, attraverso la prospettiva personale e direttamente interessata del narratore.
Un lavoro, però, al quale non si può chiedere uno sviluppo su altre dinamiche, osservate e trattate in maniera molto distaccata.

Nel complesso, lo si può comunque definire discreto. Una nota di demerito per un problema di natura tecnica, osservato dalla stessa Pellis prima della proiezione: la pellicola inviata dai produttori non è stata rimontata eliminando gli spazi dedicati alle interruzioni pubblicitarie, creando uno spiacevole vuoto durante la visione.



Il cortometraggio della serata – Horror in salsa vittoriana con Memento Mori

(a cura di Ruggero Carlo Giannini)

Nella parte conclusiva della serata con le proiezioni all’Arena Ettore Scola, è stato premiato il terzo dei quattro cortometraggi vincitori del concorso dello scorso maggio dell’IRISH FILM FESTA.

Dopo le premiazioni di An Irish Goodbye (categoria drammatica) e di Nothing To Declare (categoria documentario), è stata infatti la volta del cortometraggio Memento Mori, vincitore del premio per la categoria Animazione: a ricevere il riconoscimento sul palco dell’arena, il regista e co-sceneggiatore del corto Paul O’ Flanagan, che assieme alla direttrice artistica della FESTA Susanna Pellis ha voluto ringraziare il pubblico romano per la calorosa accoglienza riservatagli.
Nel suo intervento, O’ Flanagan ha spiegato come Memento Mori abbia rappresentato per lui una grande opportunità di sperimentazione: la sua ambizione era infatti quella di realizzare un cortometraggio caratterizzato da uno stile horror che si distaccasse dai toni family-friendly tipici dei prodotti per le grandi case di produzione con cui aveva lavorato in precedenza.

Uno scatto della premiazione di “Memento Mori”, miglior cortometraggio d’animazione nel concorso dell’IRISH FILM FESTA dello scorso Maggio. Il premio è stato ritirato dal regista Paul O’Flanagan (a sinistra, NdR), qui sul palco insieme a Claudia Colin e a Susanna Pellis (fotografia di Ruggero Carlo Giannini)
Memento Mori di Paul O’Flanagan (Irlanda, 2021)
Fonte immagine: Boulder Media / Facebook

Ambientato nella Dublino del 1875, Memento Mori segue il vanitoso fotografo post-mortem Henry Huxley (doppiato in originale da Mark Gatiss) alle prese con un nuovo cadavere da esaminare e fotografare.
La vicenda è raccontata dalla prospettiva del protagonista che, oltre a spiegare con minuzia di particolari la complessità del suo lavoro, si ritrova a doversi confrontare con un cadavere decisamente inquietante, oltre che con il ruolo che ricopre all’interno di una società non sempre equa e giusta.

Raccontato con una tale accuratezza e precisione nei dettagli da sembrare un trattato, Memento Mori è un’opera divisa tra scienza e credenze popolari che con le sue atmosfere cupe e dark riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo per tutti i 9 minuti di durata. L’ottima costruzione della storia riesce sapientemente a bilanciare la componente medica/razionale con l’elemento superstizioso rendendo la storia sempre più intrigante e ansiogena fino al suo culmine, con un grande momento di terrore attraverso uno spaventoso – seppur prevedibile – jumpscare.

Memento Mori è dunque un ottimo cortometraggio che offre un grande insegnamento: ciò a cui non prestiamo attenzione mentre siamo in vita sarà il nostro più grande tormento quando saremo prossimi alla morte.


Follia, risate dissacranti e tanto cuore blues in Redemption of a Rogue

(a cura di Ruggero Carlo Giannini)

A chiudere la serata, la proiezione di Redemption of a Rogue (2020) del drammaturgo e regista teatrale Philip Doherty.
Opera d
escritta come una dark comedy con un sottotesto biblico e dei tocchi di blues, la pellicola è stata presentata al pubblico della FESTA dal suo protagonista, l’attore irlandese Aaron Monaghan.
Intervenuto sul palco dell’Arena Ettore Scola, l’attore ha spiegato al pubblico quanto la realizzazione di questo film sia stata una vera sfida: le riprese si sono svolte a Ballylough (la sua città natale nella contea di Cavan) con un budget estremamente limitato (appena 45.000 euro). Un ostacolo che però non ha scoraggiato in alcun modo il regista (e amico di Monaghan) Philip Doherty, in grado di oltrepassare i propri limiti grazie al sostegno della troupe (in assenza di una macchina per la pioggia, ne hanno costruita una artigianale) e di tutti gli abitanti della città.
Il risultato finale? Un ottimo prodotto che trasuda l’inconfondibile essenza irlandese in ogni suo fotogramma.

La presentazione del film “Redemption of a Rogue” di Philip Doherty (Irlanda,2020).
Presente sul palco l’attore irlandese Aaron Monaghan, insieme a Claudia Colin e Susanna Pellis (fotografia di Ruggero Carlo Giannini)
Redemption of a Rogue, di Philip Doherty (Irlanda, 2020)

La storia descrive le peripezie di Jimmy Cullen (Aaron Monaghan), personaggio alquanto ribelle e tendente a istinti suicidi che dopo sette anni (e altrettanti disastri) fa ritorno a Ballylough, dove aveva abbandonato famiglia e affetti, dal fratello Damien (Kieran Roche) alla fidanzata d’allora, Patricia (Liz Fitzgibbon).
Adesso Jimmy è deciso a tornare in quanto nella disperata ricerca di redenzione per i peccati da lui commessi in passato.
Ma la morte del padre (interpretato da Hugh B. O’Brien) e l’improvviso scoppio di una forte tempesta, entrambi avvenuti in concomitanza del suo arrivo, portano la comunità a non fidarsi di lui.

Dentro questo oblio di sofferenza da far cessare con la propria morte, la conoscenza della sensuale cantante Masha (Aisling O’Mara) e la graduale riscoperta del proprio passato alquanto travagliato porteranno Jimmy a riscoprire se stesso e a cercare la soluzione ai problemi della comunità, sempre più convinta di essere vittima di una maledizione.
In poche parole, un diluvio di risate e colpi di scena di proporzioni bibliche.

L’elemento più riuscito del film è senza ombra di dubbio la
sua componente umoristica, che raggiunge vette esilaranti in particolare nelle rappresentazioni delle sciagure di Jimmy come il flashback di una sciagurata partita di calcio gaelico, il dialogo assolutamente surreale con la Vergine Maria o la rielaborazione dissacrante delle dieci piaghe d’Egitto.
Vale la pena precisare però che l’umorismo proposto dalla pellicola non sempre può risultare convincente: mentre un pubblico più abituato a standard di comici di questo genere si è divertito molto durante la visione del film, uno spettatore generalista non avvezzo a seguire una cinematografia culturalmente molto diversa rispetto ad altre come quella irlandese, avrebbe più difficoltà a comprendere un determinato tipo di comicità, che gioca anche con temi alquanto rilevanti come la religione, la morte e il sesso.

Ho apprezzato molto la performance di Aaron Monaghan nei panni del protagonista: frustrato e chiuso in se stesso ma al contempo deciso a riscattarsi dagli errori commessi tempo addietro. Ho trovato davvero divertente la dinamica che lo vede coinvolto con suo fratello Damien, mentre il rapporto con Masha è stato il nucleo emotivo della storia.
Un elogio a parte va invece alla fotografia, che dona alla pellicola un taglio assai realistico nelle scene ambientate nelle sporche strade di Ballylough e che fa trasparire uno stravagante senso di immaginazione come nelle visioni oniriche di Jimmy. 

Un comparto tecnico talmente ben curato quindi da non dare minimamente impressione di assistere a una produzione low-budget.

A conti fatti, Redemption of a Rogue si è rivelata una delle più grandi sorprese di questa rassegna estiva dell’IRISH FILM FESTA: l’opera di Doherty riesce pienamente nell’intento di raccontare una storia di redenzione mediante il ben riuscito connubio tra il linguaggio della strada e un umorismo dissacrante che, pur non essendo accessibile a ogni tipo di pubblico, riesce a intrattenere e divertire con genuinità.
Un film che rappresenta un perfetto punto di incontro tra la tradizione teatrale irlandese e la modernità cinematografica.

Informazioni sull'autore

Nato a Roma nel 1992, è uno studente laureando nel corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali presso l'Università "La Sapienza" di Roma.

Le passioni per la scrittura e per il mondo del giornalismo lo seguono da quando era ragazzo, confluendo in vari progetti nei quali ha accumulato esperienze e conoscenze: dagli anni dei giornali liceali fino all'inizio degli studi universitari, con il coinvolgimento attivo in una web-radio amatoriale in cui in due anni provvede a creare palinsesti, programmi e contenuti radiofonici dedicati alla musica, ma soprattutto alla promozione della musica emergente nella scena underground romana.

Dopo la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali conseguita nel 2015, nel 2017 torna a scrivere in un progetto editoriale nazionale che lo vede ancora oggi coinvolto. Infine, dopo un'ulteriore esperienza triennale in un progetto associativo nel quale ha avuto modo di organizzare da remoto numerosi eventi e conferenze dedicate all'approfondimento del mondo della geopolitica, contribuisce alla fondazione del progetto portato avanti da ReAct360.

Travolto da mille passioni e interessi, cerca ogni giorno di mantenere fede alla ricerca e al lavoro costante verso la conoscenza in tutto quello che lo circonda, non accontentandosi di una sola faccia della medaglia e dedicandosi a osservare il quotidiano con senso critico, in modo da poter formare una propria opinione.

Amante dell'Irlanda, della buona musica e della Storia, trova maggiore ispirazione nella scrittura durante le ore notturne, con un album musicale di sottofondo.

Per ReAct360 si occupa della scrittura di articoli, ma anche della revisione di bozze e comunicati stampa, oltre alla gestione del sito e al suo continuo ampliamento.

Il suo motto? "Credi in te stesso e fai in modo che i tuoi sogni diventino realtà".
Il suo mantra? Vivere la vita "in direzione ostinata e contraria".

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *