Cinema

Le tematiche sociali al centro della giornata d’apertura dell’IRISH FILM FESTA 14

La storia di un’amore nella terza età “con troppi acciacchi” – La recensione di My Sailor, My Love

Frutto di una coproduzione tra Irlanda e Finlandia , il film My Sailor, My Love diretto dal regista finlandese Klaus Härö è il primo lungometraggio del programma di questa edizione.

Nell’introduzione al film, la direttrice artistica dell’IRISH FILM FESTA Susanna Pellis si è soffermata con il pubblico presente in sala su alcuni particolari di rilievo come la sua ambientazione, che condivide la stessa location usata da Martin McDonagh per le riprese del suo The Banshees of Inisherin (Gli Spiriti dell’Isola) : l’Achill Island, nella contea di Mayo.
Quale sarebbe la differenza tra il lavoro del regista finlandese e la pellicola di McDonagh, che, in questa annata davvero fantastica per il cinema irlandese, ha ottenuto vari riconoscimenti arrivando a un passo dalla vittoria degli ultimi Oscar con le sue nove candidature?

Fonte: “My Sailor My Love / Rakkaani merikapteeni”/ Facebook

La risposta data dalla Pellis nel suo breve raffronto si è soffermata molto su come, a suo giudizio, la resa scenica e l’impatto emotivo scaturito dalle bellezze naturali del territorio siano state decisamente più valorizzate nel lavoro di Klaus Härö rispetto al suo “indiretto” concorrente, un’affermazione su cui ci si può trovare concordi, dopo aver visto il film e facendo proprio un confronto con Gli Spiriti dell’Isola: la fotografia di Robert Nordström è riuscita a donare profondità al racconto narrativo della pellicola nell’unione tra i colori complessivamente freddi del film, le sue inquadrature e le stesse riprese che, tra le panoramiche delle brughiere, dei lunghi tratti di costa insulare e delle strade popolate da poche vetture e i greggi di pecore, hanno dato valore anche all’uso della luce.

Soffermarsi però su questa disamina tecnica aiuta poco nel dare un giudizio finale positivo a questo film, nonostante l’apporto soddisfacente offerto dal cast del film, che vede anche nomi di prim’ordine come quello di James Cosmo (noto agli appassionati de Il Trono di Spade per il ruolo di Jeor Mormont), ma anche di Brid Brennan (Excalibur, Brooklyn e la serie tv Peaky Blinders), Catherine Walker (affermatasi con il film di Ridley Scott, House of Gucci) e Nora-Jane Noone (Brooklyn).
Gli attori e le attrici hanno dato un contributo importante per la buona riuscita del film, ma il vero problema che vanifica tutti gli sforzi messi in campo risiede nella sua sceneggiatura.

La storia raccontata da My Sailor, My Love offre anche dei buoni spunti di riflessione e, in partenza, avrebbe anche delle buone qualità per il sensibile focus dato su alcuni temi come quello riguardante il mondo della terza età, e l’idea di un intreccio romantico tra vedovi – come quello che emerge durante la visione del film tra l’anziano e burbero capitano di mare in pensione Howard (James Cosmo) e la governante Annie (Brid Brennan), ingaggiata dalla figlia di Howard, Grace (Catherine Walker) per badare alle faccende di casa e allo stesso padre – può anche risultare interessante.
Il tutto però viene affossato da una scrittura assolutamente carente se non addirittura scontata in numerosi casi (alcune scene sono state “previste” prima del loro arrivo) e da varie scelte registiche discutibili che altro non hanno fatto se non dilatare e appesantire un lavoro di per sè già caratterizzato da atmosfere oscure (un paradosso, se si pensa all’intreccio romantico precedentemente menzionato) che alla trama principale della storia aggiungono le ulteriori e problematiche dinamiche familiari tra Grace e il padre Howard, oltre a quelle tra la donna e il suo compagno Martin (Aidan O’Hare, già apprezzato ne I
l Vento Che Accarezza L’Erba e nella serie tv The Young Offenders), per arrivare ad un crescendo tragico.

Assolutamente superflui e poco rilevanti ai fini del racconto alcuni elementi della sceneggiatura, come per esempio le sequenze (di cui una iniziale fin troppo lunga) delle riunioni di un centro di ascolto in cui la stessa Grace è coinvolta insieme ad altre donne.
Un lavoro che nel complesso quindi risulta essere fortemente penalizzato fortemente da questi fattori al punto da risultare alquanto mediocre.


Teatro sperimentale e storytelling ibrido per How To Tell A Secret

Come poter descrivere il film How To Tell A Secret? È forse un’opera di teatro sperimentale? È un documentario? Una pellicola? Un making-of? L’insieme di tutte le opzioni?
Probabilmente nemmeno quest’ultima potrebbe essere la risposta in grado di descrivere appieno quello che è questo lavoro cinematografico diretto da Anna Rodgers e Shaun Dunne tratto dalla pièce teatrale
Rapids scritta e portata sul palcoscenico dallo stesso Dunne nel 2017.

Il film oggetto della seconda proiezione della giornata ha un messaggio molto forte, che si abbatte con forza sul pubblico presente in sala: la questione della sieropositività.
Sebbene focalizzato principalmente sul caso irlandese, divenuto uno dei paesi con il più alto numero di infezioni da virus HIV dell’Unione Europea, il messaggio si amplifica anche a livello internazionale ma anche multitematico: How To Tell A Secret è infatti un’opera di storytelling ibrido, che combina tutti gli elementi e le caratteristiche tecniche comuni al mondo del teatro e del cinema su un tema di grande impatto come quello della sieropositività ma anche su questioni di genere e con un focus sull’impatto nella comunità arcobaleno.
Un lavoro tratto da storie vere di persone vere che hanno scelto di esporsi o che, pur non facendo l’ultimo passo, hanno scelto di raccontare e far raccontare ugualmente le loro storie, le storie di persone che non vogliono essere semplicemente definite “malate” nella loro condizione, ma che si definiscono “conviventi con il virus HIV”, seguendo tutte le cure e le pratiche del caso. Una differenza comunicativa di enorme valore per chi ne è affetto.

Ci sono storie di attivisti, come lo stesso Dunne e Robbie Lawlor, di drag queen del passato e del presente, di donne e uomini con il virus della HIV che, dopo l’iniziale fase di sconforto e devastazione nelle loro vite, vivono quotidianamente le loro esistenze al meglio delle loro possibilità.
Sullo sfondo c’è l’impatto che la sieropositività ha avuto nel paese, in passato come ancora oggi, a livello comunicativo: dalle “pubblicità progresso” shock degli anni ‘80 e ‘90
al senso di stigmatizzazione e vergogna con cui la società irlandese ha colpito le persone divenute sieropositive, al punto da dover vivere la propria condizione nel segreto e nel silenzio.

Sicuramente quest’opera avrà modo di far discutere e riflettere le persone che dovessero visionarla per la prima volta, e avrà modo di porre l’attenzione sui suoi punti di forza come su alcuni punti di debolezza: se da una parte è lodevole un lavoro su una comunicazione differente e meno stigmatizzante sulla sieropositività, dall’altra “l’eccessivo” richiamo alle formule del teatro sperimentale contemporaneo non sempre convince e, a lungo andare, può risultare di scarsa fruibilità e interesse per un pubblico più variegato (a livello personale, ho comunque apprezzato “la musicalità” e “la ritmica” dei testi concepiti tra la pièce teatrale e la stessa trasposizione cinematografica).
Allo stesso modo, sicuramente la pellicola ha colpito il pubblico della Casa del Cinema durante e anche in seguito alla proiezione: nel breve dibattito che si è tenuto al termine del film, cui ha partecipato la produttrice del film Zlata Filipovic, il pubblico ha avuto modo di poter porre domande all’ospite d’onore.

Uno scatto del dibattito post proiezione di “How To Tell A Secret”.
Presenti la direttrice artistica dell’IRISH FILM FESTA, Susanna Pellis e la produttrice del film Zlata Filipovic

I Cortometraggi della giornata
I Promossi, Rimandati e Bocciati di Guglielmo Vinci

Memory of My Father (Irlanda, 2022) = Rimandato

“Poet Patrick Kavanagh pondering the Stony Grey Soil of Monaghan at his native Inniskeen.” (fotografia di Elinor Wiltshire, 1963)
Fonte: National Library of Ireland on The Commons / Flickr

Primo “cortometraggio” in programma in questa quattro giorni di FESTA, proiettato nel primo pomeriggio, Memory of My Father è il videoclip realizzato per la nuova trasposizione musicale dell’omonima poesia scritta dal poeta e scrittore irlandese Patrick Kavanagh (a sinistra,NdA), che in vita ebbe anche modo di inciderla nel suo unico album Almost Everything del 1964.
Un album che la
Claddagh Records, ovvero la stessa casa discografica con cui il poeta registrò le proprie poesie declamate, ha riproposto in una nuova edizione limitata, un doppio cd con l’edizione rimasterizzata dell’album di Kavanagh e un secondo disco che ha visto coinvolte figure illustri del panorama culturale irlandese (tra queste, il presidente della Repubblica d’Irlanda Michael D. Higgins e il celebre attore Liam Neeson) nella lettura dei suoi versi.
In questo caso è proprio l’inconfondibile voce di Liam Neeson che ci fa immergere nella poesia di Kavanagh, nel nuovo video realizzato dalla coppia di registi composta da Cian Hughes e
Bárbara Oliveira (QUI il link).
Una scoperta per chi scrive, “rovinata” però dalla sua brevissima durata (appena due minuti).
Probabilmente un impatto così immediato e “a freddo” con l’arte poetica di Patrick Kavanagh non ha permesso di poterlo apprezzare appieno.


Big Griff
(Irlanda, 2022) = Promosso

Nel secondo e ultimo cortometraggio di giornata si cambia decisamente argomento, con il pubblico presente alla Casa del Cinema che nella serata è stato catapultato nell’affascinante mondo del calcio gaelico, uno degli sport tradizionali irlandesi che viene seguito e vissuto dalla popolazione dell’isola come una vera e propria religione, al punto di essere decisamente più importante del calcio (quello “britannico”).

Presentato in occasione dell’ultimo Galway Film Fleadh, il cortometraggio è un tributo alla memoria di Martin Griffin, importante giocatore del Donegal GAA e del Seán Mac Cumhaills (se non addirittura leggendario, per chi è amante di questo sport) scomparso nel 2021.
Diretto dal nipote Nathan Griffin, il documentario racconta alcuni tra i momenti più importanti della vita – sportiva ma non solo – del giocatore attraverso i ricordi e i racconti di chi in carriera ha giocato con lui (e che lo ricordano come “un colosso d’uomo”) ma anche dei parenti più stretti che hanno seguito le sue orme giocando per la selezione femminile di Donegal.
Sullo sfondo del racconto, ci sono anche le immagini di repertorio di alcune partite giocate in carriera da Martin Griffin, dal suo esordio ufficiale fino ad arrivare al 1983, un anno d’oro per la selezione del Donegal con la vittoria del titolo provinciale dell’Ulster contro Cavan e la semifinale dell’All-Ireland giocata (ma persa) contro Galway.
Ottime scelte del regista per la colonna sonora, ma in questo documentario sono la cura e soprattutto l’amore, espresso tanto da quest’ultimo quanto da chi è stato coinvolto nella sua realizzazione, a rendere questo lavoro assolutamente piacevole e coinvolgente.

Una curiosità: il calcio gaelico non viene praticato soltanto in Irlanda, ma anche al di fuori dei propri confini nazionali, grazie alle comunità irlandesi che nel tempo hanno dato vita – assieme ai locali – a nuove compagini e club.
Nel nostro Paese si possono menzionare alcune squadre di calcio gaelico distribuite tra Milano (St. Ambrogio Milano), Padova (Padova Gaelic Football), Rovigo (Rovigo Gaelic Football) e infine a Roma con la S.S. Lazio Calcio Gaelico, che ieri era presente con una delegazione di suoi atleti alla proiezione del cortometraggio.


L’opera di “impegno sociale” di Frank Barry con Aisha

La giornata si conclude con la proiezione dell’ultimo film in programma che vede il ritorno “metaforico” del regista Frank Berry sul palcoscenico della Casa del Cinema con il suo ultimo film Aisha.
Il regista, molto apprezzato dal pubblico dell’IRISH FILM FESTA in questi anni per lavori come Michael Inside (2019) e I Used to Live Here (2016), non ha potuto presenziare alla proiezione ma ha voluto comunque inviare un messaggio di saluti al pubblico presente che è stato proiettato prima dell’inizio del film.

Il suo ultimo lavoro, è stato descritto da Susanna Pellis come un’opera di “cinema sociale” e di grande impegno da parte di Berry e racconta una drammatica storia di integrazione (o di presunta tale) tra l’Irlanda e la Nigeria (che nella sua comunità locale vede il più grande gruppo proveniente dall’Africa), ma anche della tratta di migranti e della vita dei richiedenti asilo.
Questo è il caso di Aishatu, detta Aisha (Letitia Wright), una cittadina nigeriana che da poco più di un anno si trova a Dublino, cercando di vivere in attesa di ottenere asilo internazionale nel paese.
La protagonista ha un lavoro e vive in un centro di prima accoglienza e si deve confrontare con la burocrazia dell’International Protection Office (IPO),
mentre deve anche subire le angherie di parte del personale del centro.
Questa è anche la storia dell’incontro di Aisha con Conor (Josh O’Connor), un agente di sicurezza del centro che si mostra comprensivo nei suoi confronti e che, con il tempo, instaura un’amicizia con lei.
È soprattutto la storia dell’odissea fatta di carte bollate e burocrazia che la donna deve affrontare per poter ottenere lo status di richiedente asilo, mentre deve avere cura della madre rimasta in patria.
Questa odissea è il punto cardine del lavoro del regista, che vi dedica una lunga sequenza del film dove la donna deve interloquire con gli operatori dell’IPO e descrivere minuziosamente la propria storia tragica.

Eppure, nonostante queste premesse, mi ritrovo a considerare l’ultimo film di Frank Berry come uno dei meno riusciti rispetto a film come lo stesso Michael Inside: in alcuni passaggi del film, lo spettatore si ritrova intrappolato in lunghe se non addirittura interminabili sequenze di silenzi che fanno “fin troppo rumore” anziché dare un senso alla tensione e al dramma vissuto dai protagonisti della storia.
Il risultato ottenuto da questi momenti privi di dialoghi è quello di appesantire il racconto e di far calare col tempo l’attenzione attorno al contenuto fondamentale di questa pellicola.
Inoltre, vi sono alcuni punti narrativi che vengono dilatati in modo esagerato, facendo perdere così la loro efficacia e la loro potenza comunicativa. In conclusione, un lavoro di denuncia come quello portato avanti da Frank Berry su una questione di rilevanza ormai internazionale non riesce a raggiungere del tutto il suo intento.

Letitia Wright in Aisha, di Frank Berry (Irlanda, 2022)

Informazioni sull'autore

Nato a Roma nel 1992, è uno studente laureando nel corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali presso l'Università "La Sapienza" di Roma.

Le passioni per la scrittura e per il mondo del giornalismo lo seguono da quando era ragazzo, confluendo in vari progetti nei quali ha accumulato esperienze e conoscenze: dagli anni dei giornali liceali fino all'inizio degli studi universitari, con il coinvolgimento attivo in una web-radio amatoriale in cui in due anni provvede a creare palinsesti, programmi e contenuti radiofonici dedicati alla musica, ma soprattutto alla promozione della musica emergente nella scena underground romana.

Dopo la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali conseguita nel 2015, nel 2017 torna a scrivere in un progetto editoriale nazionale che lo vede ancora oggi coinvolto. Infine, dopo un'ulteriore esperienza triennale in un progetto associativo nel quale ha avuto modo di organizzare da remoto numerosi eventi e conferenze dedicate all'approfondimento del mondo della geopolitica, contribuisce alla fondazione del progetto portato avanti da ReAct360.

Travolto da mille passioni e interessi, cerca ogni giorno di mantenere fede alla ricerca e al lavoro costante verso la conoscenza in tutto quello che lo circonda, non accontentandosi di una sola faccia della medaglia e dedicandosi a osservare il quotidiano con senso critico, in modo da poter formare una propria opinione.

Amante dell'Irlanda, della buona musica e della Storia, trova maggiore ispirazione nella scrittura durante le ore notturne, con un album musicale di sottofondo.

Per ReAct360 si occupa della scrittura di articoli, ma anche della revisione di bozze e comunicati stampa, oltre alla gestione del sito e al suo continuo ampliamento.

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Il suo mantra? Vivere la vita "in direzione ostinata e contraria".

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