Filosofia

L’azione umana: quali sono i principi che la determinano?

L’azione umana, perno centrale della psicologia e della sociologia, è oggetto di analisi della cosiddetta “filosofia antropologica”, che chiarisce le origini e le cause dell’azione dell’uomo.
In particolare, il primo concetto discusso dalla filosofia antropologica è il libero arbitrio: gli uomini sono liberi o sono schiavi dei propri sentimenti? Da un punto di vista storico, una prima risposta a questo quesito è stata fornita dall’“Etica” di Aristotele e dagli stoici (in particolar modo da Seneca) attraverso un sostegno completo e assoluto del libero arbitrio, della capacità razionale dell’uomo di sopprimere le passioni in qualsivoglia contesto. La “ratio”, in questo senso, coincide con la “virtus” e contrasta i “mala”, che incarnano i sentimenti.

Sant’Agostino, pur essendo un precursore del pensiero filosofico cattolico, si trovò concorde solo parzialmente con questo approccio, in quanto affermava che la libertà d’azione dell’uomo non è illimitata, bensì circoscritta, in parte, alla grazia divina, che ne rappresenta un elemento integrante e imprescindibile. Questa lettura venne in seguito rigettata da altri filosofi cattolici come San Tommaso d’Aquino, il quale riprese il pensiero di Aristotele (come la maggioranza degli autori medievali), ponendo la ragione al di sopra delle passioni e considerando quest’ultima come la facoltà atta a determinare il bene e il male e, dunque, a scegliere coscientemente quale dei due perseguire.
Nel cattolicesimo tale nozione rimase per molto pressoché incontrastata, anche in pensatori profondamente differenti: Giannozzo Manetti, ad esempio, pur opponendosi alla visione fatalista di papa Innocenzo III espressa nella formula «Contemptus Mundi», mantenne invariata la concezione del libero arbitrio.

Quest’ultima venne messa in discussione soltanto dalla scissione protestante, in particolare all’interno del dibattito tra Martin Lutero, sostenitore del determinismo, ed Erasmo da Rotterdam, che sosteneva l’indeterminismo seppur in chiave moderata.
Se da una parte Erasmo da Rotterdam riteneva, in accordo con la dottrina cattolica, che la grazia fosse raggiungibile tramite le azioni e per mezzo del perseguimento della virtù, Martin Lutero si poneva in modo diametralmente opposto, osservando come essa fosse piena giurisdizione di Dio e che dunque nessuna azione umana poteva influire in alcun modo sul giudizio divino.
Nella contrapposizione dialettica, si aggiunse una posizione “originale” con Giovanni Calvino che, ponendosi in una posizione mediana tra luteranesimo e cristianesimo, sosteneva l’indeterminismo andando contemporaneamente a capovolgere i valori cattolici: secondo il fondatore del calvinismo, infatti, la virtù non coincideva con qualità come l’umiltà, l’empatia o il sacrificio, bensì con l’investimento nell’impresa privatala creazione di ricchezza, modi tramite i quali cui l’uomo poteva migliorare le proprie condizioni attraverso i beni materiali fornitogli da Dio (una lettura molto simile era presente anche nel “La dignità dell’uomo” [1452] del sopraccitato Manetti).
Durante il Seicento, anche i pensatori non-luterani come Renè Descartes mantennero la tradizionale posizione sostenuta dalla Chiesa: secondo Cartesio, infatti, le passioni erano al di sotto della ragione e pertanto controllabili in ogni contesto da quest’ultima, in grado di distinguere aprioristicamente e inconfutabilmente il bene e il male (a riguardo va ricordato come a dire di Cartesio l’onnipotenza della ragione venisse garantita da Dio). La visione razionalista di Cartesio venne poi smentita dagli empiristi inglesi, in particolar modo da David Hume: stando al filosofo scozzese, infatti, se la ragione avesse un qualche potere sulle passioni – ad esempio nella scelta di un’azione da compiere mediante una volizione cosciente –  dovrebbe anche avere la capacità di modificare la pulsione iniziale.
Volendo fare un esempio a riguardo, se a un individuo piace un quadro, egli non può scegliere in nessun modo di non esserne attratto e lo sarà finché il suo inconscio (o, per usare un termine freudiano, il suo “Es”) lo vorrà.
Se la ragione non può opporre una passione contraria a quella originale, come potrebbe allora contrastarla?
Dal pensiero di Hume possiamo trovare una risposta che si pone come sintesi:

“La ragione è, e può solo essere, schiava delle passioni e non può rivendicare in nessun caso una funzione diversa da quella di servire e obbedire a esse.” [1] (David Hume, Trattato sulla Natura umana, 1739)

La teoria humeana delle passioni, in realtà, era stata ripresa da un fondamentale ma, purtroppo, poco conosciuto pensatore anglo-olandese del Settecento, Bernard de Mandeville: a dire di Mandeville, infatti, l’uomo era irrimediabilmente governato dalle passioni – che non possono essere contrastate in alcun modo da quest’ultimo – e l’impulso sommo che regolava le sue azioni era il “self-liking”, l’amor proprio. L’uomo agisce senza alcuna forma di arbitrio cosciente e perseguendo sempre il proprio benessere individuale e il suo interesse egoistico. Di conseguenza, l’amor proprio non coincide con l’autoconservazione, ma si distingue da quest’ultima e ne è al di sopra.
Per usare un linguaggio hayekiano, il pensiero di Bernard de Mandeville, compiutamente espresso ne “La favola delle api” (1705-1728 circa), si compone di anti-razionalismo e di anti-costruttivismo.

L’egoismo come fondamento della natura dell’uomo è un concetto che è stato ripreso anche da Thomas Hobbes, anche se vedeva una diversa interpretazione rispetto a Mandeville: se da una parte per Hobbes l’egoismo conduceva a una lotta di tutti contro tutti (homo homini lupus), per Mandeville il perseguimento del benessere individuale porta al bene collettivo, come accade in un alveare, dove tutte le api – nel pensare e agire in base al proprio interesse – garantiscono la sopravvivenza e la prosperità dell’alveare intero.
Dopo essere stato soltanto accennato da alcuni autori dell’età moderna come Francesco Guicciardini e gli stessi Hobbes e Mandeville, l’egoismo come parte integrante della natura umana tornò ad essere esposto nella sua massima essenza durante l’ Ottocento grazie a Max Stirner: per il filosofo tedesco, infatti, qualsiasi azione compiuta dal soggetto aveva alla base un appagamento del proprio ego dal momento che l'”Io”, nella visione idealista tedesca ripresa da Stirner, era il «nulla creatore» della realtà. Di conseguenza, l’uomo deve agire senza alcun limite, nel completo perseguimento del proprio desiderio egoistico.

Arrivando al secolo scorso, il tema dell’egoismo venne infine trattato da un’importante filosofa russa in seguito naturalizzata statunitense, ovvero Ayn Rand la qualepartendo dalla consapevolezza che l’ego fosse il fondamento di qualsiasi azione –  ne allargò il significato all’umanità nella sua interezza: per la Rand, infatti, ognuno era dotato di un ego e perseguiva il suo volere. Inoltre, nell’idea della Rand, l’ego non era determinato dall’inconscio – come osservato da Hobbes e da Mandeville –, ma era bensì la ragione a scegliere l’azione in grado di arrecare il maggior vantaggio possibile al soggetto senza danneggiare la libertà di agire altrui. La ragione, dunque, assumeva sia una funzione attiva nell’azione sia il ruolo di sua limitatrice, secondo il principio di non-aggressione.

Informazioni sull'autore

Nato a Roma nel 2004, è uno studente che frequenta il liceo scientifico tradizionale. All’età di sedici anni, si appassiona alla filosofia e nei due anni successivi - tra i diciassette e i diciotto anni- redige e pubblica un saggio incentrato sullo studio e l'analisi della filosofia.

Una passione crescente, quella per la filosofia, che è stata alimentata e nutrita con l'approfondimento e lo studio con numerose letture e confronti che l'hanno avvicinato al pensiero liberale (in particolare, al pensiero della Scuola di Vienna).
Patito inoltre di economia e politologia, interessi sviluppati in concomitanza al legame sempre più forte verso la filosofia, nel 2021 si iscrive al think tank Istituto Liberale, dove ancora oggi contribuisce con la pubblicazione di vari articoli per l’associazione.

In aggiunta, quest'anno sceglie di dare vita, assieme a Francesco Sampaolo e Nicolas Journet, a un proprio progetto, quello dello Snake Institute, improntato per divenire un think tank dal pubblico internazionale e condotto, per questa motivazione, esclusivamente in lingua inglese.

Una sua ulteriore passione è quella per la musica, che porta avanti fin da bambino con lo studio del pianoforte e di canto.

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